martedì 2 giugno 2015


Domenico Defelice
Pomezia, 24 gennaio 2012

Opera complessa, difficile da inquadrare in una paginetta recensiva. Difficile anche per le tante tematiche che il romanzo solleva, impostato com’è sulla “Soaltà”, neologismo - questo - coniato dallo stesso autore e che racchiude e descrive tutta una filosofia. “La soaltà - confessa Guglielmo Peralta a Susanna de Candia, in una intervista per il sito “Temperamente” -, più che indicare una dimensione tra sogno e realtà, è la loro identità, la sintesi perfetta tra mondo del sogno o della visione, e visione del mondo, ossia: tra realtà interiore, in cui si rappresenta il mondo del sogno, e la realtà esteriore, in cui il sogno acquista un corpo e, dunque, visibilità”.
H-ombre-s ha come protagonisti personaggi creati, nei libri, dalla fantasia degli uomini; creature divenute nel tempo talmente importanti e universalmente famose da acquistare fama e concretezza di esseri veri.
Alla scenografia di opere immortali si ispira l’impianto del romanzo. Il Castello, per esempio, richiama il monte nella Divina Commedia e, la riunione conviviale, il Decameron, con la differenza che, nella creazione del Boccaccio, la compagnia era limitata, dedita al gioco e alla spensieratezza, a raccontar novelle, mentre in Peralta i soggetti riuniti sono tantissimi e i temi trattati ardui e di gran peso, come quello di una ricerca e di una verità tramate dalla fede.
I protagonisti, anche se non uomini veri - ai quali essi sembra vogliano aspirare -, non sono neppure fantasmi. Hanno ragionamenti e movenze di creature in quanto proiezioni degli stessi autori, gli dei che hanno dato loro la vita, e perché la letteratura, giocando su utopia e sogno, spesso anticipa la realtà. Ciò che secoli fa poteva essere solo fantascienza o bizzarria (volare, comunicare, Internet, calpestare la luna...), oggi non è forse vissuta quotidianità?
Uno dei convocati al Castello è l’ “agrimensore” K., Personaggio protagonista in “Il Castello” di Kafka, presente nel romanzo dall’inizio alla fine (quasi scompare nella parte centrale); ma gli interventi maggiori sono di altri protagonisti di opere famose: di Cervantes - per esempio -, Dante, Pirandello, Collodi, Shakespeare, Ovidio, Omero ...; insomma, dei più grandi autori d’ogni tempo.
H-Ombre-s è un affresco straordinario - diviso in tre parti: Nel Castello, Sul Ponte, La Notte -, che si dipana “Di realtà in realtà, di sogno in sogno”, nel quale “Terreno fertile (...) è il dubbio”. (18). La lettura e la narrazione sono il modo migliore per saldare il fantastico alla vita reale e il veicolo più indicato sono le figure create dai grandi autori. Sentirle esprimersi, dissertare, immaginarle vive e riunite a convegno, è fare nostre le loro tesi, le tante problematiche, le visioni diverse nel concepire la vita. Sono personaggi nati “dal grembo del sogno” (26), “Anime perse nel silenzio degli dei” (28), “creature di un dio minore” (l’uomo), inferiori, quindi, ma nelle quali ugualmente “splende la luce della Poesia e la vita si fa imitazione” (28). Beatrice a questi personaggi dà la certezza della loro esistenza, li sveglia “dalla notte fonda”, li solleva “fino alla soglia della coscienza” (29). Tutto ciò che di positivo e di negativo hanno è frutto degli uomini che lo hanno trasmesso loro “attraverso i sogni” (48), compresa l’ansia e il desiderio di andare nel mondo, di essere come gli uomini in tutto e per tutto.
Il regno di queste Ombre è simile al mondo ove hanno vissuto i loro dei creatori e - ripetiamo - simile a molti uomini sono le stesse Ombre, ognuna delle quali non ha una sua granitica, radicata idea, ma si lascia momentaneamente convincere da quella delle altre, per subito poi cambiare a seconda degli interventi: di Pinocchio, di Amleto, di Euridice, di Sonja... E’ tutto un fluttuare continuo di luci mentali che si accendono e si spengono, un comportamento ondivago. Così, all’inizio, quasi tutte son favorevoli alla fuga dal Castello, ma, una volta sul Ponte, si fanno convincere a rientrare nella grande Biblioteca, riconoscendo che il Castello è “il luogo del sogno” (82) e quindi il più idoneo alla loro esistenza. Il Castello è un libro, è la “labirintica prigione di carta” (83). Comprendono che “Rinnegare gli dei [cioè, gli uomini], ..., significa rinnegare i libri” e loro stesse (115). Quel che, insomma, agognavano ottenere con la fuga “non era altro che una duplicazione della vita umana” (141). Le Ombre sono un sogno, ma anche l’uomo stesso che le ha create è un sogno, il più grande: quello di Dio.
 

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